Car* Marco,
fino a ieri pensavo che “epistola virale” fosse una bellissima iniziativa ma non pensavo avrei mai partecipato davvero. Invece questa sera dopo aver letto la tua lettera ho provato subito il desiderio di risponderti però credo di doverti delle scuse già da adesso perché so che questa lettera sarà piena della mia tristezza. Perciò perdonami se affiderò a lei un po’ di malessere rendendola inevitabilmente greve.
Sono felice per te. Camminare nei campi in questo momento deve lenire un po’ questa nostra stasi forzata. Credo davvero che la nostra generazione si stia misurando con un nuovo senso di libertà che non avremmo mai immaginato di dover sperimentare. Mi fa piacere sapere anche che hai un camino, anche io ne ho uno in casa mia e lo adoro. Un caminetto riesce sempre a catturare la compagnia ancestrale del fuoco. Vedrai che quando inizierai ad accenderlo ti sentirai meno solo.
In questo momento non ho particolari sbalzi d’umore. Sono solo molto triste, totalmente arresa agli eventi. Tutto quello che doveva essere un momento felice della mia vita si è ritorto contro toccando i miei punti deboli. Sono rientrata a casa mia, nel Cilento, domenica 22 da Parigi. E’ stato tutto orribile, il viaggio, il rientro, l’arrivo a casa.
Esattamente un mese prima il 23 febbraio, mi ero trasferita a Parigi per fare ricerca tesi, l’anno scorso ho trascorso in quella città tra alti e bassi nove mesi in Erasmus.
Per ritornare a Parigi era stata una vittoria, perchè avevo lottato tanto per tornare e finalmente avevo trovato una casa bellissima, talmente bella che non mi sembrava vera. Adoravo tutto, la casa, il palazzo, il mio quartiere, la panetteria sotto casa che aveva un profumo buonissimo, il grosso gatto nero della mia vicina che mi correva incontro per farmi le fusa ed avere le mie attenzioni. Avevo firmato tre contratti per lavorare in Expo come interprete ed ero felice. Mi sentivo bene, piena di energie ed ero positiva. Avrei fatto la mia ricerca, mi sarei laureata a luglio e a settembre avrei ponderato un trasferimento.
Nel giro di un mese tutto si è accartocciato su se stesso. Mi sono vista costretta a rientrare a casa mia e non è stata una scelta facile. Mentre prendevo posto sul mio volo di rimpatrio mi chiedevo ancora se avevo fatto la scelta giusta. Me lo chiedo ancora adesso mentre sono seduta su questa vecchia poltrona. Non lo so.
Per tornare a casa mia ho dovuto prendere un aereo, un treno che mi ha portato fino a Napoli e poi un regionale che mi a lasciata a casa.
Ho cercato di mantenermi calma per tutto il viaggio, anche quando in aeroporto nessuno indossava le mascherine, anche quando al controllo bagagli il personale mi respirava sul viso, anche quando arrivata alla stazione di casa mia una persona mi ha aggredito verbalmente nonostante io gli avessi spiegato che avevo avvisato già le autorità competenti ed il mio medico. Durante il mio viaggio di rientro, in un stazione Termini deserta, ho abbassato per un attimo la mascherina e sul fondo di un binario ho diviso un salatino con un uccellino che era volato fino ai miei piedi. In quel preciso momento ho sentito come di spezzarmi sotto tutto il peso di questo momento che ci interessa tutti.
Adesso sto osservando il mio periodo di autoisolamento di 14 giorni nella vecchia casa di mia nonna che si trova sullo stesso pianerottolo di casa mia. In questo modo posso salvaguardare la mia famiglia ed essere più serena. Se tutto va bene, lunedì rientrerò definitivamente a casa. La casa in cui mi trovo in questo momento apparteneva a mia nonna, non ci avevo mai più messo piede da quando lei è morta due anni fa. Passarci improvvisamente due settimane mi è sembrata una strana terapia d’urto che mi è stata imposta dal destino. Io che non riesco neanche ad andare al cimitero da quando lei non c’è più e che per superare la sua perdita sono scappata in francia, adesso sono costretta a ripercorrere il corridoio che attraversavamo piano piano insieme, mi faccio il caffè nella cucina dove preparavamo insieme il ciambellone, combatto con un interruttore della luce rotto che mille e altre mille volte avremmo cercato di far funzionare insieme, io da un capo del corridoio e dall’altro.
Io che in questi anni ho provato a fare la guerra al suo ricordo per non soffrire di più adesso sento perfino il suo profumo prima di dormire e mi manca, mi manca da morire.
So cosa stai pensando, questi miei piccoli drammi esistenziali sono un niente rispetto alla smoderata quantità di dolore a cui tutta l’italia è sottoposta in questo momento.
Razionalmente so che non ho alcun diritto a sentirmi così triste perchè sono fortunata, sono viva e sto bene.
Allora magari facciamo che questa mia lettera sarà una confidenza che io affido a te, soltanto a te, anche se non ci conosceremo mai.
Premo invio senza rileggerla.
So avere un uso della punteggiatura più responsabile ma credo che non mi giudicherai per questo.
31/03/2020